Catania ha una tradizione centenaria legata al cibo, grazie alle sue contaminazioni e dominazioni: chiunque si è fermato qui, ha lasciato un po’ della sua storia e dei suoi piatti.

Dobbiamo ringraziare aragonesi, cinesi e indiani per le nostre melanzane fritte. I primi portarono in Sicilia l’uso delle preparazioni fritte, mentre i cinesi, in affari col versante orientale dell’isola, portavano qui i prodotti che commercializzavano con l’India, fra cui le melanzane. La Norma, che prende il nome dalla celebre opera del compositore catanese Vincenzo Bellini, rappresenta per gli abitanti la quintessenza della pasta: pomodoro, basilico e melanzane. E la ricotta salata, che dona infine quel tocco di sapidità irrinunciabile.

La gelatina di maiale (in dialetto zuzzu) è stata inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T), come la caponata, le sarde a beccaficu, la granita di mandorla (in dialetto minnulata), le mele gelato cola, e tantissimi altri prodotti freschi e lavorati. Un altro vanto catanese è quello dei “masculini da magghia” (acciughe) inseriti nella lista dei prodotti slow food, per via della pesca tramite le maglie.

I masculini si vendono freschi sul mercato catanese di piazza Pardo (‘a Piscaria) oppure vengono messi sotto sale dalle mogli dei pescatori. Si tratta di una conserva fatta con pezzetti di alici e con le teste che rimangono impigliate nelle maglie della menaide. Impossibili da vendere, questi “scarti” erano consumati in barca. Tornati a riva, le donne di casa mettevano ciò che rimaneva sott’olio di oliva, in vasetti di vetro o in piccoli orci di terracotta (i cugnitti) e all’occorrenza se ne prelevava una parte per cucinare sughi e salse.