Francesco Grasso e il “matrimonio” con San Berillo

Autore di “Ho sposato San Berillo”

Quarto appuntamento con Giri di Parole

Abbiamo intervistato Francesco Grasso, detto Franchina, travestito che da oltre trent’anni lavora a San Berillo, quartiere a luci rosse della città di Catania, nonché autore del libro scelto per il quarto incontro di Giri di Parole, “Ho sposato San Berillo”, edito da Trame di Quartiere.
Dopo “Davanti alla porta” concepito a mo’ di una raccolta di appunti scritti di getto a seguito dello sgombero di San Berillo avvenuto il 14 dicembre del 2000, Grasso ritorna alla scrittura con “Ho sposato San Berillo” un’auto/topo-grafia in cui l’autore racconta la sua vita e quella di altre amiche/colleghe che come lui/lei hanno “sposato” il quartiere in cui vivono e lavorano.

Francesco Grasso e Franchina sono la stessa persona e sono due persone diverse: raccontaci di te, di lei e del vostro rapporto.
Francesco e Franchina sono la stessa persona. Convivono da sempre, hanno affrontato insieme tutto confrontandosi, scontrandosi e confortandosi a vicenda. Difficile definirli o descriverli separatamente: non potrebbe esistre uno senza l’altra e viceversa.

In “Ho sposato San Berillo” racconti la tua vita e racconti il quartiere a luci rosse di Catania perché spesso coincidono. Com’è nata l’idea di scrivere questo libro e come si è evoluta?
A differenza del primo libro, “Davanti alla porta”, che ho scritto a seguito dello sgombero del quartiere di San Berillo del 14 dicembre 2000 a mo’ di appunti che poi ho riordinato insieme al parroco della mia comunità, Padre Gliozzo, “Ho sposato San Berillo” è nato, sin da subito, come un libro e, come raramente accade, ho trovato il titolo prima ancora di buttare giù la trama. Una sera rientrando a casa, dopo una giornata passata nel mio quartiere ho pensato a tutto quello che avevo vissuto e mi è venuto in mente questo titolo che riassume perfettamente il tipo di relazione che ho con questo luogo.

Come descriveresti il tuo matrimonio con il quartiere a luci rosse di Catania?
Ho paragonato il rapporto che mi lega a San Berillo al matrimonio perché, secondo me, seguono le stesse dinamiche. Ci sono matrimoni di facciata, matrimoni d’amore, matrimoni d’interesse ma in tutte queste unioni vivono contemporaneamente o a fasi alterne, come presenza o come assenza, l’amore, la passione, la quotidianità, la routine, l’idillio, il litigio, le incomprensioni, la solidarietà, le illusioni, ecc … E poi, così come il matrimonio, è un legame che indissolubilmente lega due anime, nel bene e nel male, anche noi prostitute di San Berillo siamo indissolubilmente legate a questo quartiere.

In “Ho sposato San Berillo” racconti anche il tuo lato spirituale, il tuo rapporto con Dio.
Nelle case di molte prostitute, contrariamente a quanto le persone immaginano, ci sono spesso immaginette di Santi e Madonne. Spesso, il nostro sentirci delle emarginate, dei reietti della società ci fa andare alla ricerca del nostro lato spirituale che nutriamo quotidianamente perché abbiamo bisogno di sentirci accolte e amate davvero da qualcuno. Come racconto nel libro, spesso, abbiamo dovuto affrontare molte battaglie: quelle con le nostre famiglie d’origine che non accettavano la nostra identità sessuale; quella con noi stesse, perché è difficile accettare la nostra condizione di persone cui è negato l’amore e una famiglia propria. A noi è concesso dare ma mai ricevere… Io personalmente ho iniziato il mio percorso spiritale grazie a padre Gliozzo che mi ha fatto conoscere un Dio che non giudica e non condanna, ma che ama e perdona incondizionatamente i suoi figli. Poi, come racconto nel libro, in qualche modo ho vissuto sulla mia pelle la parabola del figliol prodigo. L’abbraccio che mio padre mi diede quando mi vide in caserma segnò la tregua delle nostre incomprensioni e l’inizio di un nuovo equilibrio familiare.

La descrizione che nel libro fai del “pisolu” è molto interessante: il “pisolu” è “attesa e confine”, “spazio privato e collettivo”, “casa e strada”: spiegaci meglio il valore che ha per te questo elemento architettonico.
Il “Pisolu” è il posto del niente e del tutto. Per noi prostitute il “Pisolu” è il nostro posto di lavoro, è un luogo cui diamo molto valore. Il resto della gente nemmeno si accorge di questo sottile confine che attraversa ogni giorno, quando entra ed esce da casa e dal luogo di lavoro. Se per gli altri il “Pisolu” non esiste, è anonimo, per noi è presente e ci ricorda anche quella soglia che ci divide da quella vita altra, quella vita “normale” che sogniamo di avere per combattere la solitudine in cui viviamo. Poi però penso anche che i clienti che frequentano il quartiere e che vivono queste vite “normali”, spesso, sono più soli di noi e che, forse, tutti siamo felici e inquieti dentro le nostre vite “normali” e “diverse”.